sabato 8 marzo 2008

LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI

Leggo Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi.

I numeri primi hanno un grande fascino per i matematici. La loro bellezza risiede soprattutto in questo: non esiste un sistema per trovarli che non sia prendere i numeri naturali e controllarli uno per uno. Due dei più celebri problemi aperti nella matematica moderna - l’ipotesi di Riemann e la congettura di Goldbach - riguardano proprio la loro frequenza: più si procede sulla linea dei numeri naturali, più i numeri primi si diradano, ma senza che sia possibile trovare nessun tipo di regolarità. Tutte le armi a disposizione dei matematici, dall’aritmetica dei tempi di Euclide allo studio delle funzioni complesse, falliscono contro questo nemico antichissimo e misterioso. I numeri primi. Una volta si usavano nelle formule magiche. Di loro sappiamo solo che non finiscono mai: nessuno è l’ultimo, nessuno il più grande.

I gemelli sono numeri primi separati da un solo numero pari: come 17 e 19, 41 e 43, 59 e 61. Coppie di individui simili, persi nell’infinità dei numeri naturali, tanto vicini da sfiorarsi ma abbastanza lontani da non riuscire a toccarsi mai. Alice e Mattia sono due ragazzi così, fatti uno per l’altro eppure incapaci di condivisione, destinati alla solitudine dai loro demoni e da un trauma che li ha segnati durante l’infanzia. Alice ha perso l’uso di una gamba su una pista da sci, rischiando la morte per assideramento all’età di sette anni. Mattia ha abbandonato in un parco la sorellina, sofferente di disturbi psichici, per andare a una festa di classe: la bambina non viene più ritrovata e Mattia dovrà convivere con questa colpa per il resto dei suoi giorni. Al liceo i due ragazzi si incontrano. Entrambi stanno attraversando un’adolescenza durissima. Alice soffre di anoressia, mortifica il suo corpo come per punirlo per quella gamba rigida e fonte di umiliazioni. Mattia il corpo lo ferisce, tagliandosi i palmi con qualsiasi oggetto acuminato gli capiti in mano. È inevitabile che si riconoscano, e cha nasca tra loro un’amicizia. Il romanzo li segue fino all’età adulta: Mattia diventerà un brillante matematico, sarà assunto come ricercatore in un’università del Nord Europa, mentre Alice diventerà una fotografa di matrimoni. Ma nessuno dei due guarirà mai dalla propria malattia. Si attireranno a vicenda e si respingeranno, si ameranno eppure resteranno lontani. Come numeri primi gemelli, simili e per sempre soli.

Paolo Giordano ha 26 anni, è un fisico torinese e racconta di avere scritto questo suo primo romanzo nel tempo libero. Il libro ha l’urgenza delle storie che vogliono essere raccontate, e perciò chiedono il sacrificio delle notti e dei fine settimana, e non lascia spazio alle questioni di stile. In poche settimane è diventato un caso, montato in silenzio e senza pubblicità: perché ha il potere evocativo dei grandi romanzi di formazione. Quelli che ti risuonano dentro, risvegliando il ragazzo che eri. È un libro semplice e profondo, e non ha nessun bisogno di spiegarti di cosa soffrono Alice e Mattia: il motivo per cui lei vuole morire di fame, per cui lui sa di essere vivo solo quando sente dolore, è qualcosa che conosciamo anche noi. È l’ospite che abbiamo cacciato di casa, e che ogni tanto torna a bussare alla nostra porta. È il demone di cui qualcuno non si libera mai.

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Mattia lo sapeva cosa c’era da fare. Doveva andare di là e sedersi di nuovo su quel divano, doveva prenderle una mano e dirle non dovevo partire. Doveva baciarla un’altra volta e poi ancora, finché si sarebbero abituati a quel gesto al punto di non poterne più fare a meno. Succedeva nei film e succedeva nella realtà, tutti i giorni. La gente si prendeva quello che voleva, si aggrappava alle coincidenze, quelle poche, e ci tirava su un’esistenza. Ormai l’aveva imparato. Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante. Stavolta li riconosceva: quei secondi erano lì e lui non si sarebbe più sbagliato.

C’era stato un tempo in cui, seduto sul letto insieme ad Alice, poteva percorrere la stanza di lei con lo sguardo, individuare qualcosa su uno scaffale e dirsi gliel’ho comprato io. Quei regali erano lì a testimoniare un percorso, come bandierine appuntate alle tappe di un viaggio. Lei li conservava con cura, trovando loro una posizione evidente, perché a lui fosse chiaro che li aveva sempre sotto gli occhi. Mattia lo sapeva. Sapeva tutto quanto, ma non riusciva a muoversi da dov’era. Adesso intorno a lui non c’era un solo oggetto che riconoscesse. Guardò il proprio riflesso nello specchio, i capelli scombinati, il colletto della camicia un po’ storto, e fu allora che capì. In quel bagno, in quella casa come nella casa dei suoi genitori, in tutti quei luoghi non c’era più nulla di lui.

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Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, Mondadori 2008

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